02 luglio 2008
Il silicio dei pc finisce sul tetto
I giganti dell'informatica a caccia di un posto al sole. Il business del fotovoltaico ora fa gola anche ai colossi del semiconduttori come Intel e Ibm che nei giorni scorsi hanno annunciato il loro ingresso in campo. L'obiettivo è lo stesso: trasformare le competenze acquisite nella lavorazione del silicio per produrre microchip in un capitale da investire nella realizzazione di cellule fotovoltaiche. A cambiare sono le strategie adottate.
Intel ha deciso di mettere sul tavolo cinquanta milioni di dollari per lanciare una "startup", la Spectrawatt, fissando come primo traguardo la produzione nel nuovo stabilimento dell'Oregon, a partire dal 2009, di cellule fotovoltaiche in silicio cristallino per una capacità di 60 megawatt. Si punta ovvero su una tecnologia collaudata che al momento garantisce la migliore media tra rendimenti e costi di produzione.
Più articolata e audace invece la scelta della Ibm. "Big blue", come la chiamano gli americani, ha avviato una joint-venture con la Tokyo Ohka Kogyo. Un partner scelto con l'ambizione di riuscire a mettere in produzione cellule fotovoltaiche che sostituiscono il costoso e sempre più ambito silicio con uno speciale film sottile messo a punto nei suoi laboratori e realizzato in rame, indio, gallio e selenide. Il vantaggio sarebbe rappresentato dai prezzi delle materie prime, decisamente più contenuti, e dalla maggiore versatilità nelle applicazioni in edilizia, mentre il limite è il rendimento nel trasformare i raggi solari in energia elettrica, ancora decisamente inferiori a quelli garantiti dal silicio cristallino.
Il futuro dirà chi ha scelto la strada giusta, ma la partita non sarà un semplice duello. Gli analisti statunitensi specializzati in fondi d'investimento nel greentech, sono convinti che altri grandi del settore seguiranno a breve l'esempio di Intel e Ibm. Gli occhi sono puntati soprattutto su Samsung, Advanced Micro Devices e LG. Pesi massimi che potrebbero letteralmente fare ombra alle imprese medio piccole attive da tempo nel solare e che solo negli ultimi anni hanno finalmente iniziato a realizzare utili.
Un problema che secondo Federico Brucciani, project manager della Gifi, l'associazione che raccoglie le imprese italiane del fotovoltaico, al momento dalle nostre parti non esiste. "L'entrata di due attori simili sul mercato rappresenta un vantaggio per tutta la filiera - spiega - oggi il vero collo di bottiglia è rappresentato dalla scarsità di materia prima, ma il foraggiamento che queste due aziende sono in grado di garantire credo avrà conseguenze positive, anche in termini di potenza installata e di credibilità del settore". Del resto nel nostro piccolo anche l'Italia ha subito un "trauma" analogo, ma con effetti positivi. "Da noi - sottolinea ancora Brucciani - l'ingresso di marchi leader come Beghelli e BTicino è servito a farci crescere in professionalità, dando a tutti maggiore visibilità".
Fonte/Autore: VALERIO GUALERZI
Intel ha deciso di mettere sul tavolo cinquanta milioni di dollari per lanciare una "startup", la Spectrawatt, fissando come primo traguardo la produzione nel nuovo stabilimento dell'Oregon, a partire dal 2009, di cellule fotovoltaiche in silicio cristallino per una capacità di 60 megawatt. Si punta ovvero su una tecnologia collaudata che al momento garantisce la migliore media tra rendimenti e costi di produzione.
Più articolata e audace invece la scelta della Ibm. "Big blue", come la chiamano gli americani, ha avviato una joint-venture con la Tokyo Ohka Kogyo. Un partner scelto con l'ambizione di riuscire a mettere in produzione cellule fotovoltaiche che sostituiscono il costoso e sempre più ambito silicio con uno speciale film sottile messo a punto nei suoi laboratori e realizzato in rame, indio, gallio e selenide. Il vantaggio sarebbe rappresentato dai prezzi delle materie prime, decisamente più contenuti, e dalla maggiore versatilità nelle applicazioni in edilizia, mentre il limite è il rendimento nel trasformare i raggi solari in energia elettrica, ancora decisamente inferiori a quelli garantiti dal silicio cristallino.
Il futuro dirà chi ha scelto la strada giusta, ma la partita non sarà un semplice duello. Gli analisti statunitensi specializzati in fondi d'investimento nel greentech, sono convinti che altri grandi del settore seguiranno a breve l'esempio di Intel e Ibm. Gli occhi sono puntati soprattutto su Samsung, Advanced Micro Devices e LG. Pesi massimi che potrebbero letteralmente fare ombra alle imprese medio piccole attive da tempo nel solare e che solo negli ultimi anni hanno finalmente iniziato a realizzare utili.
Un problema che secondo Federico Brucciani, project manager della Gifi, l'associazione che raccoglie le imprese italiane del fotovoltaico, al momento dalle nostre parti non esiste. "L'entrata di due attori simili sul mercato rappresenta un vantaggio per tutta la filiera - spiega - oggi il vero collo di bottiglia è rappresentato dalla scarsità di materia prima, ma il foraggiamento che queste due aziende sono in grado di garantire credo avrà conseguenze positive, anche in termini di potenza installata e di credibilità del settore". Del resto nel nostro piccolo anche l'Italia ha subito un "trauma" analogo, ma con effetti positivi. "Da noi - sottolinea ancora Brucciani - l'ingresso di marchi leader come Beghelli e BTicino è servito a farci crescere in professionalità, dando a tutti maggiore visibilità".
Fonte/Autore: VALERIO GUALERZI
01 giugno 2008
Spazio: il lancio dello Shuttle per agganciare Kibo
Il più grande carico mai trasportato. Il modulo pressurizzato servirà per per esperimenti di medicina, biologia, biotecnologie, nuovi materiali e per l'osservazione della terra. In orbita anche Buzz Lightyear
Il comandante del Discovery, Mark Kelly, lo chiama affettuosamente «la Lexus dei moduli spaziali». Il paragone rende l'idea ma non completamente perché il laboratorio giapponese Kibo (il maggior contributo di un singolo Paese alla Stazione Spaziale Internazionale) è grande quanto un autobus e al suo confronto gli altri due moduli già in orbita, l'americano Destiny e l'europeo Columbus, sembrano nanetti. Kibo, che nella lingua del Sol Levante significa "speranza", è talmente grande e complesso che saranno necessari tre viaggi dello Shuttle per completarlo nel 2009 anche se il secondo della serie in programma questo week end (partenza sabato 31 maggio ore 23,02 ora italiana dal Kennedy Space Center a Cape Canaveral) è il più importante e farà segnare il record per il carico più pesante mai trasportato da uno Shuttle: il modulo pressurizzato di Kibo (JPM) che servirà per esperimenti di medicina, biologia, biotecnologie, nuovi materiali e per l'osservazione della terra.
Il guasto al gabinetto della Stazione spaziale internazionale ha cambiato i programmi
Nei 14 giorni della missione STS-124 sono previste tre passeggiate extraveicolari: per estrarre il JMP dallo Shuttle, agganciarlo alla stazione e montare un altro modulo già in orbita da marzo. Gli astronauti guidati dallo specialista giapponese, Akihiko Hoshide, dovranno anche issare il doppio braccio meccanico del laboratorio. Il programma di missione prevede una dozzina di altre operazioni ma il guasto alla toilette della stazione ha cambiato un poco le priorità. Da qualche giorno infatti l'unico bagno di cui dispone l'equipaggio della base spaziale ha problemi di scarico e per riparare il guasto è in arrivo una nuova pompa. Il bagno, di produzione russa, in sette anni di attività si è guastato solo una volta ma in poco tempo tutto era tornato a funzionare. Stavolta invece la situazione è più grave e le riparazioni fatte dai tre inquilini della stazione non sono servite granché tanto che attualmente viene usato il rudimentale gabinetto della navicella Soyuz, agganciata alla stazione spaziale come veicolo d'emergenza. Ora si spera di risolvere il problema anche perché per le prossime due settimana gli abitanti della SSI saranno dieci. Per evitare inconvenienti di questo tipo la Nasa ha in programma di creare una seconda toilette nel Laboratorio Spaziale in vista anche dell'aumento previsto in futuro del numero degli inquilini, da tre a sei persone.
Va in orbita anche Buzz Lightyear
Il Discovery porterà in orbita anche Buzz Lightyear, il simpatico astronauta del film "Toy Story" della Disney. Un pupazzo meccanico di 30 centimetri con le fattezze del personaggio cinematografico, farà compagnia ai sette astronauti per una iniziativa della Nasa e della Disney che lanceranno un programma comune via Internet mirato agli studenti, per esortarli a studiare matematica e scienze. Buzz Lightyear, celebre per il proprio slogan "verso l'infinito e oltre", sarà il testimonial del progetto scolastico per alcuni mesi sulla SSI.
Nel 2008 altre tre missioni per lo Shuttle
Per gli amanti delle statistiche quella che sta iniziando è la decima missione di uno Shuttle dall'incidente al Columbia nel 2003 che portò alla sospensione dei lanci per oltre due anni e mezzo. Sempre 10 è il numero di voli che mancano alla fine del programma Space Shuttle previsto tra due anni. Intanto la Nasa ha riprogrammato le date delle prossime due missioni che slittano di qualche settimana rispetto al calendario iniziale. Il quinto e ultimo viaggio della navetta per la manutenzione del telescopio spaziale Hubble è fissato per l'8 ottobre (questo sarà anche l'ultimo volo non destinato alla costruzione della SSI) mentre il 10 novembre lo Shuttle partirà nuovamente per la Stazione Spaziale. L'ultima missione dell'anno 2008 è attualmente fissata per il 4 dicembre in attesa del gran finale previsto per gennaio 2010 quando la stazione dovrebbe essere finalmente completata e il programma Space Shuttle passerà alla storia.
Rinviato il lancio di Arianne 5
Intanto, è stato rinviato per alcuni problemi tecnici il lancio di Ariane 5, il razzo dell'Agenzia spaziale europea (ESA) che ieri sera avrebbe dovuto portare in orbita due satelliti per telecomunicazioni: Skynet 5C, destinato a fornire servizi di telecomunicazione alle forze armate britanniche e alla Nato; e Turksat 3A, costruito per le trasmissioni televisive di diversi Paesi europei, della Turchia e dell'Asia centrale. Secondo i responsabili del programma europeo Arianspace, il lancio è stato rinviato a causa di problemi informatici nella base Esa della Guyana francese da dove vengono lanciati gli Ariane. Al momento non è possibile stabilire quando il lancio potrà essere effettuato.
fonte/autore: Enrico Pagliarini - www.ilsole24ore.com
Il comandante del Discovery, Mark Kelly, lo chiama affettuosamente «la Lexus dei moduli spaziali». Il paragone rende l'idea ma non completamente perché il laboratorio giapponese Kibo (il maggior contributo di un singolo Paese alla Stazione Spaziale Internazionale) è grande quanto un autobus e al suo confronto gli altri due moduli già in orbita, l'americano Destiny e l'europeo Columbus, sembrano nanetti. Kibo, che nella lingua del Sol Levante significa "speranza", è talmente grande e complesso che saranno necessari tre viaggi dello Shuttle per completarlo nel 2009 anche se il secondo della serie in programma questo week end (partenza sabato 31 maggio ore 23,02 ora italiana dal Kennedy Space Center a Cape Canaveral) è il più importante e farà segnare il record per il carico più pesante mai trasportato da uno Shuttle: il modulo pressurizzato di Kibo (JPM) che servirà per esperimenti di medicina, biologia, biotecnologie, nuovi materiali e per l'osservazione della terra.
Il guasto al gabinetto della Stazione spaziale internazionale ha cambiato i programmi
Nei 14 giorni della missione STS-124 sono previste tre passeggiate extraveicolari: per estrarre il JMP dallo Shuttle, agganciarlo alla stazione e montare un altro modulo già in orbita da marzo. Gli astronauti guidati dallo specialista giapponese, Akihiko Hoshide, dovranno anche issare il doppio braccio meccanico del laboratorio. Il programma di missione prevede una dozzina di altre operazioni ma il guasto alla toilette della stazione ha cambiato un poco le priorità. Da qualche giorno infatti l'unico bagno di cui dispone l'equipaggio della base spaziale ha problemi di scarico e per riparare il guasto è in arrivo una nuova pompa. Il bagno, di produzione russa, in sette anni di attività si è guastato solo una volta ma in poco tempo tutto era tornato a funzionare. Stavolta invece la situazione è più grave e le riparazioni fatte dai tre inquilini della stazione non sono servite granché tanto che attualmente viene usato il rudimentale gabinetto della navicella Soyuz, agganciata alla stazione spaziale come veicolo d'emergenza. Ora si spera di risolvere il problema anche perché per le prossime due settimana gli abitanti della SSI saranno dieci. Per evitare inconvenienti di questo tipo la Nasa ha in programma di creare una seconda toilette nel Laboratorio Spaziale in vista anche dell'aumento previsto in futuro del numero degli inquilini, da tre a sei persone.
Va in orbita anche Buzz Lightyear
Il Discovery porterà in orbita anche Buzz Lightyear, il simpatico astronauta del film "Toy Story" della Disney. Un pupazzo meccanico di 30 centimetri con le fattezze del personaggio cinematografico, farà compagnia ai sette astronauti per una iniziativa della Nasa e della Disney che lanceranno un programma comune via Internet mirato agli studenti, per esortarli a studiare matematica e scienze. Buzz Lightyear, celebre per il proprio slogan "verso l'infinito e oltre", sarà il testimonial del progetto scolastico per alcuni mesi sulla SSI.
Nel 2008 altre tre missioni per lo Shuttle
Per gli amanti delle statistiche quella che sta iniziando è la decima missione di uno Shuttle dall'incidente al Columbia nel 2003 che portò alla sospensione dei lanci per oltre due anni e mezzo. Sempre 10 è il numero di voli che mancano alla fine del programma Space Shuttle previsto tra due anni. Intanto la Nasa ha riprogrammato le date delle prossime due missioni che slittano di qualche settimana rispetto al calendario iniziale. Il quinto e ultimo viaggio della navetta per la manutenzione del telescopio spaziale Hubble è fissato per l'8 ottobre (questo sarà anche l'ultimo volo non destinato alla costruzione della SSI) mentre il 10 novembre lo Shuttle partirà nuovamente per la Stazione Spaziale. L'ultima missione dell'anno 2008 è attualmente fissata per il 4 dicembre in attesa del gran finale previsto per gennaio 2010 quando la stazione dovrebbe essere finalmente completata e il programma Space Shuttle passerà alla storia.
Rinviato il lancio di Arianne 5
Intanto, è stato rinviato per alcuni problemi tecnici il lancio di Ariane 5, il razzo dell'Agenzia spaziale europea (ESA) che ieri sera avrebbe dovuto portare in orbita due satelliti per telecomunicazioni: Skynet 5C, destinato a fornire servizi di telecomunicazione alle forze armate britanniche e alla Nato; e Turksat 3A, costruito per le trasmissioni televisive di diversi Paesi europei, della Turchia e dell'Asia centrale. Secondo i responsabili del programma europeo Arianspace, il lancio è stato rinviato a causa di problemi informatici nella base Esa della Guyana francese da dove vengono lanciati gli Ariane. Al momento non è possibile stabilire quando il lancio potrà essere effettuato.
fonte/autore: Enrico Pagliarini - www.ilsole24ore.com
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23 aprile 2008
Quell'arte popolare di essere anche oggi antifascisti
Monumenti resistenti, ovvero: mai come oggi abbiamo bisogno di una resistenza «monumentale» per ritrovare e rendere più forte la memoria antifascista italiana. La lotta al nazifascismo è alla base della nostra democrazia, ricordano i promotori della campagna «Tutti potenziali bersagli» [http://potenzialibersagli.noblogs.org] e in questo periodo è davvero necessario, soprattutto in una città come Roma dove un fascista in doppiopetto potrebbe diventare sindaco, ricordare e aggiornare il nostro recente passato, sostenendo le iniziative organizzate in tantissime città e paesi il 25 aprile.
«Tutti potenziali bersagli» è «figlia» della campagna che nel 1995 promosse per il cinquantesimo anniversario della Liberazione, dal basso e a livello nazionale, la realizzazione del monumento antifascista e antirazzista situato a Roma nel luogo simbolico di piazzale Ostiense, luogo fondamentale delle tante lotte della popolazione romana e che ben poteva accogliere le cinque sagome riproducenti i principali obiettivi delle persecuzioni naziste e fasciste.
Cominciò così la storia di quest’opera artistica, di cui non sono noti gli autori, che è patrimonio collettivo della cittadinanza, promosso da un coordinamento dei centri sociali e associazioni di base romane. Una storia controversa anche dal punto di vista burocratico, per cui, ancora oggi, il monumento è in posa provvisoria, difeso negli anni dalle valutazioni tecniche negative e dagli attacchi politici della destra romana. Fu sempre quello stesso anno, che l’allora sindaco Francesco Rutelli proponeva di intitolare una piazza al ministro fascista Bottai, e che il movimento antirazzista scongiurò con iniziative di piazza.
Accanto alla Piramide romana, si può vedere e toccare il monumento [posto appositamente sullo stesso piano di chi lo osserva], che rappresenta un antifascista, un’ebrea, un omosessuale, una rom e un immigrato: i bersagli del nazifascismo di allora e di oggi nella posa dei prigionieri, con le mani legate dietro la schiena e addosso i cinque simboli che i nazisti imposero loro per distinguerli dalla «popolazione ariana». Un’opera che fu finanziata da singoli e associazioni di tutta l’Italia, inserita poi ufficialmente nel patrimonio artistico comunale romano e che ora va restaurata e messa in posa definitiva. Da qui parte l’idea di lanciare nuovamente la campagna di adozione del monumento antifascista e antirazzista, come spiega Alfonso Perrotta dell’associazione interculturale Villaggio globale: «In questo periodo, le migrazioni e l’antifascismo sono due temi scomodi. Vogliamo lanciare una campagna forte di tipo culturale, per difendere e sostenere un simbolo che permetta di riaffermare l’antifascismo e l’antirazzismo». Allo stesso tempo, la campagna Tutti potenziali bersagli vorrebbe sistemare anche il piccolo spazio verde dove è ubicato il monumento antifascista, e per questo si è già candidata la facoltà di Architettura di Valle Giulia. Unire il bello alla storia, l’obiettivo primario dell’arte di tutti i tempi, ha questa volta un senso politico forte e di rispetto delle diversità umane, culturali, politiche e religiose. Certamente un messaggio oggi purtroppo fuori tendenza, ma che riprende e continua la tradizione romana dei monumenti proposti e realizzati dal popolo: il primo fu quello dedicato a Giordano Bruno, situato nella storica piazza di Campo de Fiori. Un’altra opera popolare è quella dedicata a Pier Paolo Pasolini nel luogo in cui fu ucciso, all’Idroscalo di Ostia.
Tutti potenziali bersagli lancia così anche un’idea che può tranquillamente essere «copiata» in altre città. «Ogni luogo ha la sua memoria da elaborare–aggiunge Alfonso–, invitiamo gli antifascisti di tutt’Italia ha proporre opere artistiche dal basso». E intanto, i promotori dell’iniziativa invitano i romani e le romane a un pranzo solidale il prossimo 25 aprile, presso la Città dell’Altraeconomia, per ricordare con gioia la ricorrenza della Liberazione dal nazifascismo.
fonte/autore: Cristina Formica - Carta.org
«Tutti potenziali bersagli» è «figlia» della campagna che nel 1995 promosse per il cinquantesimo anniversario della Liberazione, dal basso e a livello nazionale, la realizzazione del monumento antifascista e antirazzista situato a Roma nel luogo simbolico di piazzale Ostiense, luogo fondamentale delle tante lotte della popolazione romana e che ben poteva accogliere le cinque sagome riproducenti i principali obiettivi delle persecuzioni naziste e fasciste.
Cominciò così la storia di quest’opera artistica, di cui non sono noti gli autori, che è patrimonio collettivo della cittadinanza, promosso da un coordinamento dei centri sociali e associazioni di base romane. Una storia controversa anche dal punto di vista burocratico, per cui, ancora oggi, il monumento è in posa provvisoria, difeso negli anni dalle valutazioni tecniche negative e dagli attacchi politici della destra romana. Fu sempre quello stesso anno, che l’allora sindaco Francesco Rutelli proponeva di intitolare una piazza al ministro fascista Bottai, e che il movimento antirazzista scongiurò con iniziative di piazza.
Accanto alla Piramide romana, si può vedere e toccare il monumento [posto appositamente sullo stesso piano di chi lo osserva], che rappresenta un antifascista, un’ebrea, un omosessuale, una rom e un immigrato: i bersagli del nazifascismo di allora e di oggi nella posa dei prigionieri, con le mani legate dietro la schiena e addosso i cinque simboli che i nazisti imposero loro per distinguerli dalla «popolazione ariana». Un’opera che fu finanziata da singoli e associazioni di tutta l’Italia, inserita poi ufficialmente nel patrimonio artistico comunale romano e che ora va restaurata e messa in posa definitiva. Da qui parte l’idea di lanciare nuovamente la campagna di adozione del monumento antifascista e antirazzista, come spiega Alfonso Perrotta dell’associazione interculturale Villaggio globale: «In questo periodo, le migrazioni e l’antifascismo sono due temi scomodi. Vogliamo lanciare una campagna forte di tipo culturale, per difendere e sostenere un simbolo che permetta di riaffermare l’antifascismo e l’antirazzismo». Allo stesso tempo, la campagna Tutti potenziali bersagli vorrebbe sistemare anche il piccolo spazio verde dove è ubicato il monumento antifascista, e per questo si è già candidata la facoltà di Architettura di Valle Giulia. Unire il bello alla storia, l’obiettivo primario dell’arte di tutti i tempi, ha questa volta un senso politico forte e di rispetto delle diversità umane, culturali, politiche e religiose. Certamente un messaggio oggi purtroppo fuori tendenza, ma che riprende e continua la tradizione romana dei monumenti proposti e realizzati dal popolo: il primo fu quello dedicato a Giordano Bruno, situato nella storica piazza di Campo de Fiori. Un’altra opera popolare è quella dedicata a Pier Paolo Pasolini nel luogo in cui fu ucciso, all’Idroscalo di Ostia.
Tutti potenziali bersagli lancia così anche un’idea che può tranquillamente essere «copiata» in altre città. «Ogni luogo ha la sua memoria da elaborare–aggiunge Alfonso–, invitiamo gli antifascisti di tutt’Italia ha proporre opere artistiche dal basso». E intanto, i promotori dell’iniziativa invitano i romani e le romane a un pranzo solidale il prossimo 25 aprile, presso la Città dell’Altraeconomia, per ricordare con gioia la ricorrenza della Liberazione dal nazifascismo.
fonte/autore: Cristina Formica - Carta.org
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13 marzo 2008
Figlia di desaparecidos denuncia i genitori adottivi: «Ladri di bambini»
Quelli che pensi siano i tuoi genitori, irascibili e violenti ma comunque la tua famiglia, un giorno scopri che sono dei «ladri», che t'hanno sottratto neonata a una donna rinchiusa in un centro clandestino di tortura «per soddisfare il desiderio egoista di avere un figlio»: «In nome di tutti i bambini nelle mie condizioni, nell'interesse dell'intera società» María Eugenia Sampallo Barragán vuole adesso — ed è il primo caso in Argentina — che quella coppia sia riconosciuta colpevole di sequestro e negazione di identità, e condannata al massimo della pena, 25 anni di galera. Gli stessi chiesti ieri dal pm. Più o meno il periodo che lei, ora trentenne, ha passato a casa dei due impostori, la signora Gómez e il signor Rivas, con la finta madre che non faceva che gridare e una volta — così ha testimoniato in aula una vicina — arrivò a dirle: «Se sei tanto ribelle devi essere figlia di una guerrigliera...».
Comunque non sua. Il 24 luglio del 2001 l'esame del Dna ha provato definitivamente che María Eugenia è nata da due militanti comunisti, Mirta Mabel Barragán e Leonardo Ruben Sampallo, operai attivi nel sindacato e per questo nel 1977 sequestrati e fatti sparire dalle squadre al servizio dei militari golpisti. Rinchiusa nel centro di tortura Club Atlético e poi a El Banco, Mirta viene tenuta in vita fino al '78: è incinta, e la bimba che dà alla luce a febbraio di quell'anno può rientrare nel «traffico» di figli di dissidenti (almeno 500, calcolano le Nonne di Plaza de Mayo, 88 ritrovati finora) affidati a famiglie vicine al regime. È la sorte di María Eugenia. Grazie all'intervento dell'ex capitano Berthier — coimputato dei finti genitori nel processo in corso a Buenos Aires — vecchio amico della Gómez, la coppia a maggio del '78, riceve la neonata e usando un falso certificato di nascita la registra come figlia propria. «Un oggetto — accusa l'avvocato della ragazza —. Rivas e Gómez non sono mai stati una famiglia per lei. La trattarono come un oggetto, cancellarono la sua identità e la privarono del legame con la sua famiglia, che l'ha cercata per 24 anni».
Certamente l'ha fatto la nonna Barragán. Ma anche un fratello maggiore, nato dalla precedente unione della madre, come nella trama del film Hijos (figli) dell'italoargentino Marco Bechis si è impegnato tanto per ritrovarla. I primi dubbi a María Eugenia vengono già da bambina e sono gli stessi genitori a instillarglieli. Quando la piccola ha 7 anni, Rivas e Gómez le confessano che è stata adottata, inventando però via via delle storie sempre più perverse: che i suoi veri genitori sono morti in un incidente d'auto, che sua madre è una domestica che ha regalato loro la bambina, anzi no, che è un'hostess rimasta incinta in Europa in seguito a una relazione extraconiugale... Una marea di bugie, unite a liti furibonde e maltrattamenti, che nel 2000 — María Eugenia già è andata via di casa da due anni — convincono la ragazza a bussare alla porta della Commissione nazionale per il diritto all'identità (Conadi), istituita presso il ministero della Giustizia argentino.
A riceverla è Claudia Carlotto, coordinatrice della Conadi — nonché figlia della leader delle Nonne di Plaza di Mayo, Estela — che l'aiuta ad avviare le ricerche per l'identificazione dei veri genitori (è proprio lei a comunicarle il nome della madre), e a impostare il processo ora arrivato alla fase del dibattimento. Un percorso faticoso e commovente per María Eugenia, raccontano, fatto anche di pressioni psicologiche, di telefonate mute e intimidazioni, soprattutto da parte di quel capitano Berthier, l'intermediario coimputato, il vecchio e ambiguo amico di famiglia. «María Eugenia è una ragazza molto coraggiosa — dice al telefono Estela Carlotto —, la prima vittima in Argentina a portare in tribunale i "ladri" che l'hanno sequestrata. Ci auguriamo che la condanna sia esemplare».
fonte/autore: Alessandra Coppola - Corriere della Sera
Comunque non sua. Il 24 luglio del 2001 l'esame del Dna ha provato definitivamente che María Eugenia è nata da due militanti comunisti, Mirta Mabel Barragán e Leonardo Ruben Sampallo, operai attivi nel sindacato e per questo nel 1977 sequestrati e fatti sparire dalle squadre al servizio dei militari golpisti. Rinchiusa nel centro di tortura Club Atlético e poi a El Banco, Mirta viene tenuta in vita fino al '78: è incinta, e la bimba che dà alla luce a febbraio di quell'anno può rientrare nel «traffico» di figli di dissidenti (almeno 500, calcolano le Nonne di Plaza de Mayo, 88 ritrovati finora) affidati a famiglie vicine al regime. È la sorte di María Eugenia. Grazie all'intervento dell'ex capitano Berthier — coimputato dei finti genitori nel processo in corso a Buenos Aires — vecchio amico della Gómez, la coppia a maggio del '78, riceve la neonata e usando un falso certificato di nascita la registra come figlia propria. «Un oggetto — accusa l'avvocato della ragazza —. Rivas e Gómez non sono mai stati una famiglia per lei. La trattarono come un oggetto, cancellarono la sua identità e la privarono del legame con la sua famiglia, che l'ha cercata per 24 anni».
Certamente l'ha fatto la nonna Barragán. Ma anche un fratello maggiore, nato dalla precedente unione della madre, come nella trama del film Hijos (figli) dell'italoargentino Marco Bechis si è impegnato tanto per ritrovarla. I primi dubbi a María Eugenia vengono già da bambina e sono gli stessi genitori a instillarglieli. Quando la piccola ha 7 anni, Rivas e Gómez le confessano che è stata adottata, inventando però via via delle storie sempre più perverse: che i suoi veri genitori sono morti in un incidente d'auto, che sua madre è una domestica che ha regalato loro la bambina, anzi no, che è un'hostess rimasta incinta in Europa in seguito a una relazione extraconiugale... Una marea di bugie, unite a liti furibonde e maltrattamenti, che nel 2000 — María Eugenia già è andata via di casa da due anni — convincono la ragazza a bussare alla porta della Commissione nazionale per il diritto all'identità (Conadi), istituita presso il ministero della Giustizia argentino.
A riceverla è Claudia Carlotto, coordinatrice della Conadi — nonché figlia della leader delle Nonne di Plaza di Mayo, Estela — che l'aiuta ad avviare le ricerche per l'identificazione dei veri genitori (è proprio lei a comunicarle il nome della madre), e a impostare il processo ora arrivato alla fase del dibattimento. Un percorso faticoso e commovente per María Eugenia, raccontano, fatto anche di pressioni psicologiche, di telefonate mute e intimidazioni, soprattutto da parte di quel capitano Berthier, l'intermediario coimputato, il vecchio e ambiguo amico di famiglia. «María Eugenia è una ragazza molto coraggiosa — dice al telefono Estela Carlotto —, la prima vittima in Argentina a portare in tribunale i "ladri" che l'hanno sequestrata. Ci auguriamo che la condanna sia esemplare».
fonte/autore: Alessandra Coppola - Corriere della Sera
22 aprile 2007
Posta prioritaria dal Mullah Omar
Chi scrive è il mullah Omar. Ho 44 anni, 4 mogli, vari figli, sono di Kandahar, dunque non sono arabo: sono afghano. Nella mia vita ho fatto un po' di tutto: il combattente, il politico, la guida spirituale, di nuovo il combattente. Ho conosciuto i più grandi eserciti del mondo: a 20 anni combattevo l'Armata rossa (ci ho rimesso letteralmente un occhio della testa), ora combatto gli Stati Uniti, gli inglesi e i loro alleati della Nato. Solo che, quando combattevo i sovietici, a voi occidentali piacevo tanto: le armi ce le passavate voi. Ora, comprensibilmente, non vi piaccio più. Eppure sono rimasto lo stesso.
Conosco Bin Laden dai tempi dell'invasione sovietica, quando anche lui vi piaceva parecchio. Ma non abbiamo niente in comune: lui è un arabo, un califfo saudita pieno di petrodollari. Ci aiutò contro l'Armata rossa e dopo ci diede un sacco di soldi per costruire strade,ponti, scuole e ospedali. Per questo era molto amato dagli afghani e quando entrai in Kabul, nel 1996, lo lasciai lì. Ma nel `98 fu accusato di aver ordito gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e in Tanzania, e la sua presenza in Afghanistan divenne un problema.
Anche perchè Clinton cominciò a bombardare nel mucchio, nella zona di Khost, pensando che lui fosse lì: invece morirono centinaia di civili. Tra il mio governo e Clinton ci fu una trattativa: ma sì, risulta dai documenti del Dipartimento di Stato, anche gli americani trattavano con i talebani. Avevano il mio numero. Mandai il mio braccio destro Wakij Ahmed a Washington, a incontrare due volte Clinton: il 28 novembre e il 18 dicembre `98. Clinton voleva che ammazzassimo Bin Laden, o almeno lo espellessimo. Espellerlo non potevamo: era troppo popolare.Offrimmo di fornire le coordinate del suo nascondiglio, così che gli Usa potessero centrarlo a colpo sicuro. Purchè la smettessero di bombardarci. Clinton, inspiegabilmente, rifiutò.
Poi i nostri rapporti peggiorarono ancora, ma non certo per il burka alle donne o per le tv distrutte o per le statue del Buddha polverizzate: fu perché rifiutai di affidare la costruzione del mega gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan all'americana Unocal. Gli americani se la legarono al dito, anche perché nell'Unocal erano impicciati Dick Cheney, Condoleezza Rice e l'attuale presidente afghano Hamid Karzai. Ora fingete di scandalizzarvi tanto per l'oppio: ma nel '98 e nel '99 proposi più volte all'America e all'Onu di bloccare la coltivazione del papavero in cambio del nostro riconoscimento. Risposero picche. Nel 2000 bloccai unilateralmente la coltivazione del papavero, tra le proteste di centinaia di migliaia di contadini: ma il Corano vieta di produrre e consumare droga, e per me il Corano è una cosa seria. Risultato: il prezzo dell'oppio salì alle stelle. Un danno terribile per le grandi mafie del narcotraffico mondiale. Sarà un caso, ma meno di un anno dopo ci avete attaccati. Ora, nell'Afghanistan "liberato" e "democratico", si produce più oppio di prima: produciamo l'87% dell'oppio mondiale.
Dopo l'11 settembre gli americani ci han chiesto di nuovo di consegnare Bin Laden. Abbiamo chiesto le prove del suo coinvolgimento. Non ce le han date. Noi non abbiamo dato Bin Laden. E ci hanno attaccati. Anche se non c'era un solo afghano nei commandos delle Torri gemelle, né un solo afghano è stato mai trovato nelle cellule di Al Qaeda: c'erano sauditi, egiziani, giordani, tunisini, algerini, marocchini, yemeniti. Non afghani nè iracheni. Eppure avete invaso proprio l'Iraq e l'Afghanistan. Avete mai pensato di bombardare la Sicilia per cinque anni per stanare Provenzano? Eppure quello era latitante da 43 anni, Bin Laden solo da un paio.
Noi non siamo un popolo di terroristi. Le prime autobombe sono esplose nel 2006, dopo 5 anni di occupazione. Un po' perché questi 5 anni hanno sconvolto e imbarbarito le nostre tradizioni. Un po' perché molti terroristi vengono da fuori. Un po' perché coi russi, almeno, riuscivamo a fare la guerra: le loro truppe erano sul campo. Con gli americani è impossibile: li vediamo sfrecciare sui loro B52 a 10 mila metri d'altezza. Un anno fa un Predator americano, senza pilota né equipaggio, ha bombardato il piccolo villaggio pachistano di Domadola, al confine con l'Afghanistan, pensando che io e Al Zawahiri fossimo lì. Ha ucciso 18 civili, tra cui 8 donne e 5 bambini. Nessun americano, per il semplice motivo che gli americani non c'erano: il Predator era telecomandato da una base del Nevada, dove il pilota dirigeva le operazioni via satellite. E' la "guerra asimmetrica", che è a costo zero, almeno per voi. Non per il nostro popolo.
Badate, non voglio certo fare il santerellino. Io sono un guerriero feroce e fanatico. Ma leale. Finchè ho avuto il controllo della situazione, non abbiamo avuto sequestri di persona: una volta che una giornalista inglese penetrò nel nostro paese travestita da uomo, fu trattata bene e, accertato che non era una spia, rilasciata senza contropartite tre giorni dopo. Che mi dite invece dei vostri agenti che, nella libera Milano, han sequestrato un imam per mandarlo in Egitto e farlo torturare?
Dite che teniamo le nostre donne troppo coperte. Può darsi. Ma voi esagerate nell'altro senso: possibile che da voi una donna, per andare in tv, debba mettersi in costume da bagno, magari col crocifisso tra le tette? Non avete un posto più decente per mettere il figlio del vostro Dio?
E' vero, non riconosco lo Stato laico e la separazione tra religione e politica. Ma proprio voi venite a dare lezioni? Mi risulta che anche da voi molti politici prendano ordini da capi religiosi, tra l'altro residenti in uno Stato straniero.
Ora vi devo salutare. Ma consentitemi di ringraziarvi per il servigio che, involontariamente, avete reso a me e ai taliban: nel 2001, quando ci avete cacciati da Kabul, stavamo sulle palle a gran parte degli afghani.Ora che gli afghani vi hanno conosciuti e han visto all'opera il cosiddetto presidente democratico Karzai, siamo diventati popolarissimi. Tant'è che io continuo a girare in bicicletta e in sidecar. Sulla mia testa c'è una taglia da 50 milioni di dollari, ma nessuno ha mai pensato di tradirmi per intascarla. Vi lascio con un pensiero di un vostro santo, che dovreste conoscere bene, Agostino da Ippona. E' tratto dal De Civitate Dei: "Una volta fu portato al cospetto di Alessandro Magno un famoso pirata fatto prigioniero. Alessandro gli chiese: `Perchè infesti i mari con tanta audacia e libertà?'. Il pirata rispose: `Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con un piccolo naviglio, sono chiamato pirata; poichè tu lo fai con una grande flotta sei chiamato imperatore'". Meditate, infedeli, meditate.
Cordiali saluti, il Mullah Omar
fonte/autore: Viva Marco Travaglio
Conosco Bin Laden dai tempi dell'invasione sovietica, quando anche lui vi piaceva parecchio. Ma non abbiamo niente in comune: lui è un arabo, un califfo saudita pieno di petrodollari. Ci aiutò contro l'Armata rossa e dopo ci diede un sacco di soldi per costruire strade,ponti, scuole e ospedali. Per questo era molto amato dagli afghani e quando entrai in Kabul, nel 1996, lo lasciai lì. Ma nel `98 fu accusato di aver ordito gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e in Tanzania, e la sua presenza in Afghanistan divenne un problema.
Anche perchè Clinton cominciò a bombardare nel mucchio, nella zona di Khost, pensando che lui fosse lì: invece morirono centinaia di civili. Tra il mio governo e Clinton ci fu una trattativa: ma sì, risulta dai documenti del Dipartimento di Stato, anche gli americani trattavano con i talebani. Avevano il mio numero. Mandai il mio braccio destro Wakij Ahmed a Washington, a incontrare due volte Clinton: il 28 novembre e il 18 dicembre `98. Clinton voleva che ammazzassimo Bin Laden, o almeno lo espellessimo. Espellerlo non potevamo: era troppo popolare.Offrimmo di fornire le coordinate del suo nascondiglio, così che gli Usa potessero centrarlo a colpo sicuro. Purchè la smettessero di bombardarci. Clinton, inspiegabilmente, rifiutò.
Poi i nostri rapporti peggiorarono ancora, ma non certo per il burka alle donne o per le tv distrutte o per le statue del Buddha polverizzate: fu perché rifiutai di affidare la costruzione del mega gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan all'americana Unocal. Gli americani se la legarono al dito, anche perché nell'Unocal erano impicciati Dick Cheney, Condoleezza Rice e l'attuale presidente afghano Hamid Karzai. Ora fingete di scandalizzarvi tanto per l'oppio: ma nel '98 e nel '99 proposi più volte all'America e all'Onu di bloccare la coltivazione del papavero in cambio del nostro riconoscimento. Risposero picche. Nel 2000 bloccai unilateralmente la coltivazione del papavero, tra le proteste di centinaia di migliaia di contadini: ma il Corano vieta di produrre e consumare droga, e per me il Corano è una cosa seria. Risultato: il prezzo dell'oppio salì alle stelle. Un danno terribile per le grandi mafie del narcotraffico mondiale. Sarà un caso, ma meno di un anno dopo ci avete attaccati. Ora, nell'Afghanistan "liberato" e "democratico", si produce più oppio di prima: produciamo l'87% dell'oppio mondiale.
Dopo l'11 settembre gli americani ci han chiesto di nuovo di consegnare Bin Laden. Abbiamo chiesto le prove del suo coinvolgimento. Non ce le han date. Noi non abbiamo dato Bin Laden. E ci hanno attaccati. Anche se non c'era un solo afghano nei commandos delle Torri gemelle, né un solo afghano è stato mai trovato nelle cellule di Al Qaeda: c'erano sauditi, egiziani, giordani, tunisini, algerini, marocchini, yemeniti. Non afghani nè iracheni. Eppure avete invaso proprio l'Iraq e l'Afghanistan. Avete mai pensato di bombardare la Sicilia per cinque anni per stanare Provenzano? Eppure quello era latitante da 43 anni, Bin Laden solo da un paio.
Noi non siamo un popolo di terroristi. Le prime autobombe sono esplose nel 2006, dopo 5 anni di occupazione. Un po' perché questi 5 anni hanno sconvolto e imbarbarito le nostre tradizioni. Un po' perché molti terroristi vengono da fuori. Un po' perché coi russi, almeno, riuscivamo a fare la guerra: le loro truppe erano sul campo. Con gli americani è impossibile: li vediamo sfrecciare sui loro B52 a 10 mila metri d'altezza. Un anno fa un Predator americano, senza pilota né equipaggio, ha bombardato il piccolo villaggio pachistano di Domadola, al confine con l'Afghanistan, pensando che io e Al Zawahiri fossimo lì. Ha ucciso 18 civili, tra cui 8 donne e 5 bambini. Nessun americano, per il semplice motivo che gli americani non c'erano: il Predator era telecomandato da una base del Nevada, dove il pilota dirigeva le operazioni via satellite. E' la "guerra asimmetrica", che è a costo zero, almeno per voi. Non per il nostro popolo.
Badate, non voglio certo fare il santerellino. Io sono un guerriero feroce e fanatico. Ma leale. Finchè ho avuto il controllo della situazione, non abbiamo avuto sequestri di persona: una volta che una giornalista inglese penetrò nel nostro paese travestita da uomo, fu trattata bene e, accertato che non era una spia, rilasciata senza contropartite tre giorni dopo. Che mi dite invece dei vostri agenti che, nella libera Milano, han sequestrato un imam per mandarlo in Egitto e farlo torturare?
Dite che teniamo le nostre donne troppo coperte. Può darsi. Ma voi esagerate nell'altro senso: possibile che da voi una donna, per andare in tv, debba mettersi in costume da bagno, magari col crocifisso tra le tette? Non avete un posto più decente per mettere il figlio del vostro Dio?
E' vero, non riconosco lo Stato laico e la separazione tra religione e politica. Ma proprio voi venite a dare lezioni? Mi risulta che anche da voi molti politici prendano ordini da capi religiosi, tra l'altro residenti in uno Stato straniero.
Ora vi devo salutare. Ma consentitemi di ringraziarvi per il servigio che, involontariamente, avete reso a me e ai taliban: nel 2001, quando ci avete cacciati da Kabul, stavamo sulle palle a gran parte degli afghani.Ora che gli afghani vi hanno conosciuti e han visto all'opera il cosiddetto presidente democratico Karzai, siamo diventati popolarissimi. Tant'è che io continuo a girare in bicicletta e in sidecar. Sulla mia testa c'è una taglia da 50 milioni di dollari, ma nessuno ha mai pensato di tradirmi per intascarla. Vi lascio con un pensiero di un vostro santo, che dovreste conoscere bene, Agostino da Ippona. E' tratto dal De Civitate Dei: "Una volta fu portato al cospetto di Alessandro Magno un famoso pirata fatto prigioniero. Alessandro gli chiese: `Perchè infesti i mari con tanta audacia e libertà?'. Il pirata rispose: `Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con un piccolo naviglio, sono chiamato pirata; poichè tu lo fai con una grande flotta sei chiamato imperatore'". Meditate, infedeli, meditate.
Cordiali saluti, il Mullah Omar
fonte/autore: Viva Marco Travaglio
Etichette: guerra, televisione
05 febbraio 2007
Cochi e Renato: il "nonsense" al capolinea
Gran ritorno della comicità e del nonsense: questo Raidue ci promette, a proposito di Stiamo lavorando per noi e della "vena comica surreale e stralunata" - così ancora assicura - di Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto. Sono passati più di 33 anni dal loro esordio, in Il poeta e il contadino. Da allora il mondo è cambiato, e ancora di più è cambiata la tivù. Ma il nonsense dovrebbe essere rimasto il nonsense. Cerchiamo d'essere ottimisti, e prepariamoci a un paio di risate o tre.
Eccoli qua, Cochi e Renato. A colpo d'occhio non sono passati solo 33 anni, ma anche qualche decina di chili. Son cose che capitano. L'importante è che non gli si sia appesantita la vena comica. D'altra parte, Stiamo lavorando per noi conta su un piccolo stuolo di autori. Qualche idea si saranno fatti venire.
Già, qualche idea. Eccone una: nelle vesti di babysitter, Renato legge a una pargoletta l'antica fiaba di Cappuccetto Rosso. Per non sfigurare gli autori la attualizzano. Avranno cercato il nonsense, come da promessa? Giudicate voi. Il lupo è lo Sgarbi Vittorio: "Ma nonna, che occhi grandi che hai", le dice la tenera Cappuccetto, e lui: "stavo facendo la cacca". A tagliargli la pancia è invece la Mussolini Alessandra, "con la baionetta che aveva nella borsetta". Altro che su realtà, questo è realismo stretto: niente di più e niente di meno di quello che i due hanno fatto nei talk show degli ultimi mesi.
In ogni caso, per non essere troppo stralunato, poco dopo Renato avanza portando un grande cartello, con sopra il titolo del nuovo film suo e di Cochi. Che è la stessa cosa che fanno tutti, in tivù: promuovere e promuoversi senza badare a spese (tanto, paga tutto il canone). Subito, a vantaggio del nonsense, entra in scena la Sjoberg Camilla, che del film è per così dire la parte più in vista. infatti la regìa del Beldì Paolo la percorre tutta con puntiglio, dalle caviglie ai pettorali. Poi, per par condicio, è la volta del Malgioglio Cristiano (alias Max Giusti)che, tutto languido, allo Sgrilli Sergio assicura: da uno "come lei mi farei montare tutto".
D'un tratto, per il palcoscenico passa un carro funebre, e c'è chi sullo sfondo afferra con tempestiva prudenza quel che si ritrova sotto la cintura. Quanto a surrealtà, non è niente rispetto al pezzo forte della serata: la Ventura Simona, nota artista dalla vena comica, intervista Cochi e Renato nel ruolo di eroi dell'Isola dei famosi. E i due, poveracci, li lasciano fare, sia la Ventura Simona che il piccolo stuolo di inutili autori. Altro che comicità del nonsense: mercoledì su Raidue trionfa la mancanza di senso, di uno qualunque.
fonte/autore: Als Ob, Il Sole 24 ORE del 14-01-2007
Eccoli qua, Cochi e Renato. A colpo d'occhio non sono passati solo 33 anni, ma anche qualche decina di chili. Son cose che capitano. L'importante è che non gli si sia appesantita la vena comica. D'altra parte, Stiamo lavorando per noi conta su un piccolo stuolo di autori. Qualche idea si saranno fatti venire.
Già, qualche idea. Eccone una: nelle vesti di babysitter, Renato legge a una pargoletta l'antica fiaba di Cappuccetto Rosso. Per non sfigurare gli autori la attualizzano. Avranno cercato il nonsense, come da promessa? Giudicate voi. Il lupo è lo Sgarbi Vittorio: "Ma nonna, che occhi grandi che hai", le dice la tenera Cappuccetto, e lui: "stavo facendo la cacca". A tagliargli la pancia è invece la Mussolini Alessandra, "con la baionetta che aveva nella borsetta". Altro che su realtà, questo è realismo stretto: niente di più e niente di meno di quello che i due hanno fatto nei talk show degli ultimi mesi.
In ogni caso, per non essere troppo stralunato, poco dopo Renato avanza portando un grande cartello, con sopra il titolo del nuovo film suo e di Cochi. Che è la stessa cosa che fanno tutti, in tivù: promuovere e promuoversi senza badare a spese (tanto, paga tutto il canone). Subito, a vantaggio del nonsense, entra in scena la Sjoberg Camilla, che del film è per così dire la parte più in vista. infatti la regìa del Beldì Paolo la percorre tutta con puntiglio, dalle caviglie ai pettorali. Poi, per par condicio, è la volta del Malgioglio Cristiano (alias Max Giusti)che, tutto languido, allo Sgrilli Sergio assicura: da uno "come lei mi farei montare tutto".
D'un tratto, per il palcoscenico passa un carro funebre, e c'è chi sullo sfondo afferra con tempestiva prudenza quel che si ritrova sotto la cintura. Quanto a surrealtà, non è niente rispetto al pezzo forte della serata: la Ventura Simona, nota artista dalla vena comica, intervista Cochi e Renato nel ruolo di eroi dell'Isola dei famosi. E i due, poveracci, li lasciano fare, sia la Ventura Simona che il piccolo stuolo di inutili autori. Altro che comicità del nonsense: mercoledì su Raidue trionfa la mancanza di senso, di uno qualunque.
fonte/autore: Als Ob, Il Sole 24 ORE del 14-01-2007
Etichette: telesponda
05 ottobre 2006
il PIL dei momenti felici
La vita di una persona potrebbe essere descritta come una successione di momenti. La durata di questi momenti di presente psicologico è stimata essere di circa 3 secondi, e ciò ci dice che la gente sperimenta circa 20.000 momenti in un giorno lavorativo, e fino a 500 milioni di momenti in una vita di settant’anni. Ogni momento può avere una descrizione ricca e multidimensionale. Un individuo con un talento di introspezione potrebbe essere capace di specificare obiettivi e attività, stati di conforto o sconforto psichico, contentezza e molti altri sottili aspetti della sua esperienza soggettiva che però in quanto tale è unitaria. Che fine fanno questi momenti? La risposta è immediata: tranne pochissime eccezioni, essi scompaiano. Il "sé che fa esperienza" (experiencing self), colui cioè che vive ciascuno di questi momenti, raramente sopravvive ai momenti che ha vissuto.
Così, quando chiediamo a qualcuno "quanto ti sono piaciute le vacanze quest'anno?", chi risponde non è l’experiencing self ma un "sé che ricorda e valuta" (remembering self), quel sé che registra e archivia i momenti. Contrariamente dall’experiencing self, il remembering self è abbastanza stabile e permanente. È un dato di fatto della condizione umana che le memorie sono semplicemente quanto riusciamo a salvare dalle nostre esperienze, e quella del remembering self è la sola prospettiva che possiamo adottare appena vogliamo valutare la nostra vita passata.
Solo per portare un esempio delle distorsioni che derivano dalla dominanza del remembering self nella valutazione delle nostre esperienze, consideriamo un amante della musica che ascolta assorto una lunga sinfonia da un disco che sul finire è rovinato e storpia la musica. Tali incidenti vengono spesso descritti con la frase: "La cattiva fine ha rovinato l'intera esperienza". Ma, in realtà, l'intera esperienza non è stata rovinata affatto; ciò che è stato in realtà rovinato è stata soltanto la memoria di essa. L'esperienza della sinfonia è stata quasi interamente buona, e il cattivo finale non ha retro-agito sul piacere della mezz'ora precedente. La confusione tra l'esperienza e la nostra memoria dell'esperienza che ci fa percepire come rovinata una passata esperienza è una illusione cognitiva. Il remembering self qualche volta semplicemente sbaglia. (...).
Il mio progetto di ricerca, basato sulla metodologia del Day reconstruction method (Drm), che è un tentativo di rendere operativa una misurazione di felicità oggettiva. Di cosa si tratta?
È una metodologia che combina un tempo limitato (normalmente un giorno) con una tecnica che consente di recuperare informazioni dettagliate circa esperienze puntuali (i momenti) dal giorno precedente. Il Drm intende riprodurre l'informazione che si sarebbe raccolta misurando l'esperienza immediatamente (in tempo reale), ed efficientemente. Questo metodo permette una caratterizzazione della felicità sperimentata associata ai diversi settings e alle diverse attività della vita delle persone, e offre anche una misura di come le persone allocano il loro tempo tra setting, attività, partners nelle relazioni sociali.
Il Drm impiega un questionario strutturato che genera una descrizione dettagliata di un particolare giorno nella vita dell'intervistato. Il metodo è basato sull'intuizione teorica che un accurato resoconto retrospettivo delle emozioni può essere ottenuto incoraggiando il recupero di episodi specifici e relativamente recenti. Gli intervistati per prima cosa rivivono le memorie del giorno precedente, ricostruendo un breve diario consistente in una sequenza di episodi. Come secondo passo gli intervistati descrivono ogni episodio nel dettaglio indicando 1) quando l'episodio è iniziato e finito, 2) cosa stavano facendo, 3) dove erano, 4) con quali persone stavano interagendo, e 5) come si sentivano sulla base di più dimensioni affettive (in ogni caso su di una scala da 0 a 6). Un mio lavoro in corso di stampa riporta un simile esperimento condotto su 1018 donne lavoratrici del Texas.
È da questa prospettiva metodologica che io rivolgo la mia critica alle attuali ricerche su economia e felicità. Infatti, un’importante caratteristica delle attuali ricerche sulla felicità è che esse ricorrono esclusivamente al remembering self. Il vasto corpo di letteratura dedicata alla felicità o benessere soggettivo (subjective Well-being) è infatti incentrato sulle seguenti domande: "Quanto sei soddisfatto della tua vita nel suo insieme?" o "Quanto ti reputi felice in questi giorni?".
La domanda sulla felicità richiede esplicitamente a chi risponde di recuperare, integrare e valutare i ricordi. La domanda sulla soddisfazione della vita implica valutazioni, a partire dall'esperienza attuale, di esperienze ancora più remote. Queste valutazioni soggettive sono fortemente influenzate dalle esperienze emotive; un individuo che ha di recente sperimentato affetti per la maggior parte negativi, con poca probabilità descriverà se stesso come veramente felice o soddisfatto. (...)
Certamente la distinzione tra esperienze e valutazione nel well-being, o tra quelle che io chiamo felicità oggettiva (sperimentata) e soggettiva (ricordata e valutata) è dovuta al fatto che le due non sono sempre in corrispondenza perfetta. Per esempio, uno stato temporaneo di anemia o di insonnia ha un effetto diretto sulla felicità oggettiva, ma solo un effetto indiretto sulla felicità riportata e sulla soddisfazione di vita (felicità soggettiva). A un altro estremo, proponiamo che il basso livello di soddisfazione tra i francesi (che riportano una soddisfazione minore di molto rispetto, per esempio, agli americani e ai danesi) potrebbe essere dovuto interamente alle regole che governano le valutazioni e le loro espressioni nella cultura francese. Sappiamo che non c'è evidenza del fatto che la reale esperienza affettiva dei francesi, cioè la loro felicità oggettiva, sia generalmente peggiore di quella degli americani o dei danesi. Infine, alcune circostanze della vita hanno un impatto diretto sia sull'esperienza sia sulla valutazione: cito il lavoro come un probabile esempio.
C'è da aspettarsi, comunque, che le due componenti del well-being, quella soggettiva (edonistica) e quella oggettiva, siano correlate, ma è importante tenerle distinte, sia dal punto di vista empirico che da quello concettuale. La dissociazione occasionale del benessere valutato, rispetto a quello sperimentato è di modesto interesse in se stessa. La significatività della distinzione tra esperienza affettiva e valutazione di vita, dipende principalmente dal fatto che abbiano o meno differenti conseguenze. Siccome i dati rilevanti a tale proposito non sono stati raccolti, non abbiamo ancora la risposta. Tuttavia, è un'illazione plausibile che lo stress dovuto a esperienze affettive negative può avere un effetto cumulativo sulla salute. D'altra parte, la decisione di iniziare una terapia, od ottenere il divorzio può essere una conseguenza diretta della valutazione dello stato di vita di una persona, collegato solo indirettamente all’esperienza affettiva. In uno studio sulle vacanze, si sono trovate discrepanze sostanziali tra il ricordo della gioia provata nelle vacanze e la loro reale esperienza di gioia. Era però la gioia ricordata, e non quella sperimentata che prediceva il desiderio di ripetere l'esperienza della vacanza. (...)
L'ipotesi semplificatrice che il well-being sia unitario è implicitamente invocata in molte analisi sulla felicità. Essa gioca un ruolo particolarmente importante nella pratica comune di usare sia le differenze nazionali che individuali nelle spiegazioni del well-being individuale. Questa pratica può essere giustificata solo se la frase "più felice di", ha un significato simile nei contesti: "John che è più felice di Peter è posizionato 1 punto più in alto nella scala di felicità" e "Gli americani sono più felici dei francesi, sono posizionati 1 punto più in alto sulla scala di felicità". In realtà, la felicità potrebbe avere significati molto diversi in questi contesti. Nello specifico, sono d'accordo che è ragionevole inferire dalla differenza nella soddisfazione di vita riportata che John probabilmente sperimenta più felicità di Peter, ma sappiamo che nessun evidenza potrebbe giustificare un'inferenza simile circa americani e francesi. (...)
La più importante conclusione operativa di questa mia analisi è che il well-being sperimentato e il well-being valutato dovrebbero essere misurati distintamente e che le misure dovrebbero essere esplicitamente separate. Le misure del well-being valutato non sono però semplicemente imperfetti indicatori di felicità oggettiva (well-being sperimentato). Valutazione e memoria sono importanti in sé, perché giocano un ruolo importante nelle decisioni, e perché la gente è interessata profondamente al racconto della propria vita. D'altra parte, un focus esclusivo su valutazioni retrospettive è insostenibile e, dall'altra, queste valutazioni non riflettono in maniera accurata la qualità dell'esperienza attuale. Il well-being sperimentato, la felicità oggettiva, deve però essere misurata separatamente e con opportuni strumenti metodologici, perché non può essere dedotta con sufficiente precisione dalla felicità soggettiva.
fonte/autore: Daniel Kahneman, Il Sole 24 ORE del 03-04-2005
Così, quando chiediamo a qualcuno "quanto ti sono piaciute le vacanze quest'anno?", chi risponde non è l’experiencing self ma un "sé che ricorda e valuta" (remembering self), quel sé che registra e archivia i momenti. Contrariamente dall’experiencing self, il remembering self è abbastanza stabile e permanente. È un dato di fatto della condizione umana che le memorie sono semplicemente quanto riusciamo a salvare dalle nostre esperienze, e quella del remembering self è la sola prospettiva che possiamo adottare appena vogliamo valutare la nostra vita passata.
Solo per portare un esempio delle distorsioni che derivano dalla dominanza del remembering self nella valutazione delle nostre esperienze, consideriamo un amante della musica che ascolta assorto una lunga sinfonia da un disco che sul finire è rovinato e storpia la musica. Tali incidenti vengono spesso descritti con la frase: "La cattiva fine ha rovinato l'intera esperienza". Ma, in realtà, l'intera esperienza non è stata rovinata affatto; ciò che è stato in realtà rovinato è stata soltanto la memoria di essa. L'esperienza della sinfonia è stata quasi interamente buona, e il cattivo finale non ha retro-agito sul piacere della mezz'ora precedente. La confusione tra l'esperienza e la nostra memoria dell'esperienza che ci fa percepire come rovinata una passata esperienza è una illusione cognitiva. Il remembering self qualche volta semplicemente sbaglia. (...).
Il mio progetto di ricerca, basato sulla metodologia del Day reconstruction method (Drm), che è un tentativo di rendere operativa una misurazione di felicità oggettiva. Di cosa si tratta?
È una metodologia che combina un tempo limitato (normalmente un giorno) con una tecnica che consente di recuperare informazioni dettagliate circa esperienze puntuali (i momenti) dal giorno precedente. Il Drm intende riprodurre l'informazione che si sarebbe raccolta misurando l'esperienza immediatamente (in tempo reale), ed efficientemente. Questo metodo permette una caratterizzazione della felicità sperimentata associata ai diversi settings e alle diverse attività della vita delle persone, e offre anche una misura di come le persone allocano il loro tempo tra setting, attività, partners nelle relazioni sociali.
Il Drm impiega un questionario strutturato che genera una descrizione dettagliata di un particolare giorno nella vita dell'intervistato. Il metodo è basato sull'intuizione teorica che un accurato resoconto retrospettivo delle emozioni può essere ottenuto incoraggiando il recupero di episodi specifici e relativamente recenti. Gli intervistati per prima cosa rivivono le memorie del giorno precedente, ricostruendo un breve diario consistente in una sequenza di episodi. Come secondo passo gli intervistati descrivono ogni episodio nel dettaglio indicando 1) quando l'episodio è iniziato e finito, 2) cosa stavano facendo, 3) dove erano, 4) con quali persone stavano interagendo, e 5) come si sentivano sulla base di più dimensioni affettive (in ogni caso su di una scala da 0 a 6). Un mio lavoro in corso di stampa riporta un simile esperimento condotto su 1018 donne lavoratrici del Texas.
È da questa prospettiva metodologica che io rivolgo la mia critica alle attuali ricerche su economia e felicità. Infatti, un’importante caratteristica delle attuali ricerche sulla felicità è che esse ricorrono esclusivamente al remembering self. Il vasto corpo di letteratura dedicata alla felicità o benessere soggettivo (subjective Well-being) è infatti incentrato sulle seguenti domande: "Quanto sei soddisfatto della tua vita nel suo insieme?" o "Quanto ti reputi felice in questi giorni?".
La domanda sulla felicità richiede esplicitamente a chi risponde di recuperare, integrare e valutare i ricordi. La domanda sulla soddisfazione della vita implica valutazioni, a partire dall'esperienza attuale, di esperienze ancora più remote. Queste valutazioni soggettive sono fortemente influenzate dalle esperienze emotive; un individuo che ha di recente sperimentato affetti per la maggior parte negativi, con poca probabilità descriverà se stesso come veramente felice o soddisfatto. (...)
Certamente la distinzione tra esperienze e valutazione nel well-being, o tra quelle che io chiamo felicità oggettiva (sperimentata) e soggettiva (ricordata e valutata) è dovuta al fatto che le due non sono sempre in corrispondenza perfetta. Per esempio, uno stato temporaneo di anemia o di insonnia ha un effetto diretto sulla felicità oggettiva, ma solo un effetto indiretto sulla felicità riportata e sulla soddisfazione di vita (felicità soggettiva). A un altro estremo, proponiamo che il basso livello di soddisfazione tra i francesi (che riportano una soddisfazione minore di molto rispetto, per esempio, agli americani e ai danesi) potrebbe essere dovuto interamente alle regole che governano le valutazioni e le loro espressioni nella cultura francese. Sappiamo che non c'è evidenza del fatto che la reale esperienza affettiva dei francesi, cioè la loro felicità oggettiva, sia generalmente peggiore di quella degli americani o dei danesi. Infine, alcune circostanze della vita hanno un impatto diretto sia sull'esperienza sia sulla valutazione: cito il lavoro come un probabile esempio.
C'è da aspettarsi, comunque, che le due componenti del well-being, quella soggettiva (edonistica) e quella oggettiva, siano correlate, ma è importante tenerle distinte, sia dal punto di vista empirico che da quello concettuale. La dissociazione occasionale del benessere valutato, rispetto a quello sperimentato è di modesto interesse in se stessa. La significatività della distinzione tra esperienza affettiva e valutazione di vita, dipende principalmente dal fatto che abbiano o meno differenti conseguenze. Siccome i dati rilevanti a tale proposito non sono stati raccolti, non abbiamo ancora la risposta. Tuttavia, è un'illazione plausibile che lo stress dovuto a esperienze affettive negative può avere un effetto cumulativo sulla salute. D'altra parte, la decisione di iniziare una terapia, od ottenere il divorzio può essere una conseguenza diretta della valutazione dello stato di vita di una persona, collegato solo indirettamente all’esperienza affettiva. In uno studio sulle vacanze, si sono trovate discrepanze sostanziali tra il ricordo della gioia provata nelle vacanze e la loro reale esperienza di gioia. Era però la gioia ricordata, e non quella sperimentata che prediceva il desiderio di ripetere l'esperienza della vacanza. (...)
L'ipotesi semplificatrice che il well-being sia unitario è implicitamente invocata in molte analisi sulla felicità. Essa gioca un ruolo particolarmente importante nella pratica comune di usare sia le differenze nazionali che individuali nelle spiegazioni del well-being individuale. Questa pratica può essere giustificata solo se la frase "più felice di", ha un significato simile nei contesti: "John che è più felice di Peter è posizionato 1 punto più in alto nella scala di felicità" e "Gli americani sono più felici dei francesi, sono posizionati 1 punto più in alto sulla scala di felicità". In realtà, la felicità potrebbe avere significati molto diversi in questi contesti. Nello specifico, sono d'accordo che è ragionevole inferire dalla differenza nella soddisfazione di vita riportata che John probabilmente sperimenta più felicità di Peter, ma sappiamo che nessun evidenza potrebbe giustificare un'inferenza simile circa americani e francesi. (...)
La più importante conclusione operativa di questa mia analisi è che il well-being sperimentato e il well-being valutato dovrebbero essere misurati distintamente e che le misure dovrebbero essere esplicitamente separate. Le misure del well-being valutato non sono però semplicemente imperfetti indicatori di felicità oggettiva (well-being sperimentato). Valutazione e memoria sono importanti in sé, perché giocano un ruolo importante nelle decisioni, e perché la gente è interessata profondamente al racconto della propria vita. D'altra parte, un focus esclusivo su valutazioni retrospettive è insostenibile e, dall'altra, queste valutazioni non riflettono in maniera accurata la qualità dell'esperienza attuale. Il well-being sperimentato, la felicità oggettiva, deve però essere misurata separatamente e con opportuni strumenti metodologici, perché non può essere dedotta con sufficiente precisione dalla felicità soggettiva.
fonte/autore: Daniel Kahneman, Il Sole 24 ORE del 03-04-2005
Etichette: cooperazione, economia, felicità