29 gennaio 2006

la forza del destino

La sensazione che ogni percorso, scelto anche per caso, sia fondamentale per lo svolgersi del proprio destino, trova conferma ogni giorno.
Questa mattina, ad esempio, stavo avviandomi al bar per la colazione, quando, apparentemente senza ragione, ho deciso di andare in direzione opposta. "Prima della colazione voglio far riparare la scarpa, altrimenti rischio di perderla, e poi se per caso piove...". Allora sono entrato per la prima volta nella bottega di Ernesto, il vecchio calzolaio del quartiere. È sicuramente la bottega più piccola del mondo. Contiene a malapena un tavolino colmo di chiodi, lacche e residui di cuoio. Ernesto, seduto con le spalle alla parete di fondo, ogni tanto, lavorando, getta un'occhiata alla strada. Mi ha fatto accomodare e rapidamente ha tracciato una diagnosi della mia scarpa. "Stai perdendo il tacco. Una decina di minuti e puoi tornare a passeggiare". Sulla parete di destra una grande fotografia con due bambini identici che si tengono per mano.
"Quello sono io con mio fratello". Dice Ernesto, vedendomi fissare il quadro. "Gemelli?". "Eravamo talmente identici che spesso ci divertivamo a sostituirci, sia con gli amici che con le ragazze, anche se io ero più vecchio di un anno". "Come è possibile?". "Io sono nato pochi minuti prima di mezzanotte dell'ultimo dell'anno, mio fratello una decina di minuti dopo la mezzanotte, quindi anagraficamente un anno dopo. Poi nel '44 mi hanno arrestato perchè avevo comprato qualche chilo di pasta a borsa nera e m'hanno chiuso a Regina Coeli. Un giorno m'è venuto a trovare e ha voluto a tutti i costi che indossassi i suoi vestiti. Voleva farmi uscire almeno un pò per salutare i miei. Le guardie non potevano certo capire quello che stava succedendo, visto che eravamo identici. Sono uscito indisturbato di prigione. Per oltre un mese ci siamo divisi il carcere, tre giorni io, tre giorni lui, in attesa che facessero il processo. Poi è successa la tragedia delle Fosse Ardeatine ed è capitato che in quei tre giorni ci fosse lui in cella. I tedeschi hanno ucciso 320 persone, dieci italiani per ogni militare tedesco morto nell'attentato di via Rasella. Non avevano abbastanza prigionieri politici da uccidere e così hanno preso anche alcuni carcerati comuni. Mio fratello l'hanno fucilato insieme agli altri trecento e passa". Ernesto si passa il palmo della mano sugli occhi, per poter finire di riparare il mio tacco.

fonte/autore: Silvano Agosti, L'Unità del 07-01-2006

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